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martedì 6 aprile 2010

I concerti all'aperto...Si salvi chi può!

Cosa c’è di più bello di un concerto a diretto contatto con la natura? Due ore di musica in completo relax, mollemente abbandonati su comode sedie poste in riva ad un lago, o in una piazzetta d’epoca o in un parco?

Apparentemente niente. Ma lo spettatore non sa che questo genere di concerti siano il peggio che possa capitare ad un musicista, un agglomerato di contro capaci di sotterrare tutti i pro di cui gode lo spettatore.
E’ in queste occasioni che il concerto si trasforma per il musicista in un safari, in cui combattere con zanzare ed insetti di ogni tipo che si annidano sul corpo, sullo strumento e sullo spartito impedendoti di leggere correttamente le note, il che dà spesso origine a dissonanze al limite dell’avanguardia musicale più spinta.
Per non parlare del vento, vero nemico dei concerti all’aperto, a causa del quale tenere ferme le pagine dello spartito diventa utopia. Giuro di aver visto con i miei occhi un violinista di un quartetto perdere lo spartito dal leggio e continuare a suonare inseguendolo con gli occhi per terra…
Il vento diventa spesso motivo di gags ed ilarità, come durante un concerto di musiche da film in cui una violenta folata causò uno smottamento di custodie di strumenti alle nostre spalle con inevitabile fracasso generale. Stavamo suonando “Via col Vento”. Non sto scherzando.

Per superare le avversità in queste circostanze bisogna munirsi di “Kit del marchettaro”: Autan in grandi quantità, mollette per stendere per tenere fermo lo spartito, coprispalle pesante in caso di gelo, pinze, forcine e simili perché i capelli non svolazzino e, soprattutto, lo strumento peggiore che riuscite a trovare, di quelli che vendono da Ricordi a 49, 90 Euro.

Talvolta sono gli organizzatori del concerto a cercare di correrci in soccorso facendoci trovare già le mollette sui leggii o disseminando candele alla citronella sul palco, che più che a un concerto di musica classica sembra di stare all’MTV Unplugged dei Nirvana.
Sono comunque casi più unici che rari.

Vita da musicista: miti da sfatare!


La vita del musicista è molto diversa da come possa apparire nell’immaginario collettivo. Se si pensa alla vita degli artisti li si immagina perduti nel proprio mondo dei sogni, circondati da colleghi estrosi, pieni di incontenibile voglia di esprimere le proprie emozioni al mondo esterno. Le giornate scandite da concerti, spettacoli, cene post-concerto in posti esotici e raffinati…Un vita da bohemien, ma con una giusta retribuzione, non eccessiva, ma, in fondo, si pensa che al musicista basti suonare per essere appagato.
Niente di più sbagliato.
Non c’è categoria più calcolatrice e polemica dei musicisti. Non sono disposti a sgarrare neanche di un minuto sull’orario stabilito per le prove e il cachet è l’unica cosa alla quale siano davvero interessati. Meglio 10 serate ben retribuite a suonare mazurke alla “Sagra della porchetta” che un concerto al Metropolitan gratis, per intenderci. E così i concerti vengono spesso identificati con la cifra pattuita, dando vita a conversazioni ai limiti del surreale, tipo “C’eri lo scorso mese al concerto da 75 Euro?” “No, ma mi hanno chiamato per quello da 100 nella stessa orchestra dove suonammo l’anno scorso a 80”. E incredibilmente tutti sanno di che concerti si stia parlando!
Va anche detto, però, che, fatta eccezione per quei pochi fortunati che appartengono ad orchestre stabili, di solito l’attività principale dei musicisti è costituita dalle cosiddette “marchette”, concerti di scarso valore artistico che hanno il solo scopo di far guadagnare qualche soldo (pochi in verità). In questi casi spesso musicisti vengono sottoposti a estenuanti maratone, viaggi in scomodissimi pullman con rientri a casa ad orari improponibili, trasferte dall’altra parte del globo andata e ritorno in giornata…Il tutto per cifre irrisorie, roba che in una settimana da portapizze si guadagna molto di più che in un mese di concerti in location prestigiose.
Il tutto con grande soddisfazione dei genitori, che di fronte ai successi dei figli sono disposti a chiudere un occhio sulla possibilità di doverli mantenere a vita. Spesso infatti le spese sostenute per recarsi alle prove o sui luoghi del concerto sono molto più alte della cifra guadagnata, come ebbe a dire mio padre che, di fronte all’ennesimo prestito per le spese di vitto e alloggio in occasione di un mio importante concerto con un’importante orchestra, sentenziò “Da quando lavori ci costi un sacco! Era meglio quando eri disoccupata!”.

Un altro mito da sfatare è quello delle cene. Ormai sono sempre più rare le occasioni in cui in occasioni di concerti ti viene offerto anche un lauto pasto, o perlomeno un panino.
Di solito la tipologia di pasto si suddivide in:

-Scarno buffet pre concerto con salatini, focaccia e simili…Che manca solo il tuo nome scritto sul bicchiere di plastica, il gioco della bottiglia ed il Giocajouer per farti tornare con la mente alla festa delle medie, solo che lì avevi almeno la speranza di beccare…

-Cestino preparato dall’organizzazione e fornito ai musicisti con lanci da un pulmino preposto, tipo la distribuzione dei viveri dei caschi blu, solo che di solito nel terzo mondo sono più dignitosi rispetto ai musicisti affamati. Le scene sono pertanto pietose, senza contare che spesso non sai dove appoggiarti per mangiare, per cui si vedono dei disperati accampati in mezzo alla strada, sul marciapiede, per terra, mentre tentano invano di divorare un panino vecchio di due giorni farcito con formaggio stantio.

-Ricco buffet dopo il concerto. Se questa potrebbe sembrare la soluzione migliore, si rivela spesso un tranello in quanto di solito è aperto anche al pubblico, il quale, nel tempo in cui il musicista è uscito di scena, si è cambiato ed ha raggiunto la sala del buffet, si è già spazzolato tutto in men che non si dica. C’è poi da considerare il “fattore vecchietta”. Più le avventrici sono anziane e impellicciate e più mangiano! E di solito mal volentieri abbandonano la postazione che si sono guadagnate per cui per raggiungere il buffet devi cercare o di eliminarle fisicamente oppure di esibirti in contorcimenti al limite dell’impossibile. Tutti elementi che ti fanno passare la fame ancora prima di aver visto cosa ci sia sulla tavola. Di solito per desistere mi basta guardare l’immancabile forma di Grana in cui chiunque affonda le mani, cosa che mi provoca una nausea istantanea, sufficiente a farmi abbandonare l’idea di cenare senza tanti rimorsi.

Gli esordi

Avrei dovuto capirlo. Il giorno del mio esame di quinta elementare avrei dovuto capire a cosa stessi andando incontro. Intendo dire che avrei dovuto cogliere il segnale che nella vita sarei stata prescelta per fare mille cose, se possibile contemporaneamente, dal fatto che dovetti chiedere al commissario di poter essere esaminata per prima, in quanto quella stessa mattina avrei dovuto sostenere l’esame di ammissione al Conservatorio “N. Paganini” di Genova. Sarebbe stata la prima di una lunga serie di volte in cui sarei passata avanti ad altri per poi correre altrove…
L’idea di iscrivermi al Conservatorio mi era venuta poco prima che scadesse il termine per la presentazione della domanda. I miei dubbi erano infatti dovuti al fatto che avesse fatto domanda anche S., un mio compagno di classe a mio avviso “troppo educato”. Da ciò avevo dedotto che al Conservatorio fossero tutti “troppo educati” per i miei gusti e la cosa rendeva quella scuola poco appetibile ai miei occhi. Non mi sentivo all'altezza. (Circa l’educazione dei musicisti avrei avuto modo di ricredermi ampiamente negli anni seguenti).
Feci l’esame di ammissione per pianoforte. Non lo passai. S. sì. Ricordo soltanto che la mamma mi aveva vestita da brava bambina, con un orribile vestitino blu che io odiavo, le ballerine dorate ed una valigetta con dentro gli spartiti. Naturalmente poco prima del mio turno il manico della valigetta si ruppe ed io fui costretta ad entrare nel salone del Conservatorio, con tutta la commissione schierata, con la valigetta sotto il braccio, ostentando noncuranza e cercando di nascondere l’imbarazzo. Anche da lì avrei dovuto capire molte cose…
Comunque, venni ammessa alla classe di violoncello. Una volta entrata, pensavo, sarebbe stato più facile cambiare strumento e passare nella classe di pianoforte. Inutile dire che suono violoncello da ormai 17 anni e non tocco il pianoforte da circa altrettanti…Talvolta il destino, per fortuna, ha l’occhio più lungo del nostro…
Il mio approccio con quella scuola fu piuttosto strano. Intanto la scuola media annessa al Conservatorio si trovava all’interno di un palazzo in cui c’erano normali appartamenti di normali inquilini, puntualmente disturbati dagli studenti più indisciplinati che non perdevano occasione per suonare i campanelli, bussare e inciamparsi negli zerbini con relativi ruzzoloni giù per le scale. E poi anche le aule erano sistemate dentro piccoli appartamenti, perciò ogni volta che bisognava spostarsi in un’altra classe avveniva una sorta di transumanza con sedie in testa e si poteva assistere ad una fiumana di bambini che vagavano senza meta su e giù per le scale (per la gioia dei sopraccitati inquilini).
Non avendo né normali corridoi né spazi aperti, l’intervallo si svolgeva in questo modo: una bidella di nome Antonina, di cui non ricordo l’esatta provenienza geografica ma che, dato l’accento, tenderei ad escludere fosse di Bolzano, si spenzolava giù per la scala del palazzo con un campanaccio in mano annunciando l’inizio della ricreazione. Dopodiché uno alla volta andavamo in bagno, per poi tornare in classe. Basta. Non era un momento particolarmente esaltante della mattinata, fatta eccezione per sporadici episodi, come quella volta che un mio compagno di nome B. aveva ridotto in mille pezzi un lavandino (nessuno ha mai saputo come avesse fatto) o quando un altro aveva selvaggiamente picchiato una nostra compagna, probabilmente sfiancato dalla noia generata dalla nostra cosiddetta “ricreazione”.
Naturalmente quelli furono anche gli anni delle grandi amicizie e delle prime cotte. Ricordo che per un certo periodo della I media io e la mia amica E. ci eravamo innamorate di A., un ragazzo di terza, pianista, la cui classe era separata dalla nostra da una porta di legno. Poiché il nostro banco e il suo erano sistemati proprio in corrispondenza della porta, io e E. passavamo le mattinate a guardarlo attraverso il buco della serratura e scrivendo il suo nome sul diario. Finchè un giorno accostando l’occhio alla serratura vedemmo un altro occhio che ci guardava dall’altra parte! Lo spavento fu tale che smettemmo di spiarlo e fummo costrette a cercare le nostre prede all’interno della classe, compito arduo in quanto i nostri compagni erano per la maggior parte brutti, immaturi e maleducati (ovviamente S. escluso).
Quelli delle medie, comunque, furono gli anni migliori. La musica ci univa e la nostra vita scolastica era scandita da lezioni di strumento, prove d’orchestra e trasferte per fare i nostri primi concerti. Io naturalmente non mi accontentavo di ciò e, giusto per non stare con la mani in mano, andavo a lezione di tennis 3-4 volte a settimana, facendo anche tornei in giro per la Liguria e ponendo così solide basi per gli esaurimenti nervosi di cui sarei presto stata preda.
Al liceo le cose cambiarono radicalmente. La nostra classe si separò ed ognuno di noi si trovò all’improvviso circondato da persone “normali”, ossia quegli esseri viventi antropomorfi che vanno a scuola la mattina, studiano il pomeriggio e, inaudito, dormono la sera. Noi invece andavamo a scuola la mattina, facevamo lezione in Conservatorio al pomeriggio e studiavamo la sera…per poi dormire la mattina dopo in classe. Naturalmente fatta eccezione per chi, come la sottoscritta, dopo la scuola, aveva la brillante idea di andare a fare lezione di tennis, per poi andare direttamente in Conservatorio, dandosi appuntamento lungo la strada con il genitore di turno, per lo scambio racchetta/violoncello. Ma non escluderei di aver dimenticato qualche volta questo fondamentale passaggio e di essermi più volte ritrovata con l’attrezzatura sbagliata al momento sbagliato.
L’unico momento in cui mi sentivo come tutti gli altri era il sabato pomeriggio, quando, riposti libri di greco, racchette e violoncelli, potevo uscire con le amiche a guardare le vetrine e a parlare di ragazzi…
Naturalmente finchè, arrivato un nuovo insegnante di violoncello, non mi spostarono il giorno di lezione al sabato pomeriggio. Da quel momento in poi la mia vita prese una piega surreale e, a tratti, tragica.

Si comincia!

Ok ok... non ho la più pallida idea di come di faccia un blog!
Ho pensato però che l'unico modo per dare voce a tutti i musicisti disperati in giro fosse quello di lanciare un messaggio nell'etere sperando che venisse raccolto...

Perdonatemi dunque se la costruzione di questo spazio sarà lunga!

In queste pagine scriverò esperienze ed aneddoti circa la mia vita, a tratti inverosimile, di musicista... Nella speranza che anche voi, musicisti disperati, possiate contribuire con le vostre storie...Perchè a volte la realtà supera la fantasia!